Ancora il Tempo sulla ex 8 Marzo

Ex scuola "8 Marzo"
Lo minacciano "Infame, hai parlato"

Avvertito uno degli occupanti "Hai fatto arrestare i compagni, vattene". Torna la paura nell’istituto finito sotto inchiesta. Cinque gli indagati, tre ancora ai domiciliari.
   

Occupazioni, il giorno degli arresti all’ex 8 Marzo «Via infame, hai fatto carcerare i nostri compagni». È da un mese che Johnny, 40 anni, originario di Cuenca, in Ecuador, con sua moglie da due anni residente nella scuola occupata «8 Marzo», alla Magliana, vede fogli di minacce scritte contro di lui e affisse in bacheca e dietro la porta di casa. Il 14 settembre i carabinieri dell’Eur hanno arrestato cinque persone del coordinamento per la casa che gestivano lo spazio – Francesca Cerreto, Sandro Ciferni, Gabriele Giovannetti, Sandro Capuani e Simone Magnani – accusati dalla Procura di Roma di tentata estorsione per aver preteso soldi dagli occupanti e imposto loro regole ferree, come partecipare a manifestazioni, volantinaggi e mettere i minori in prima fila durante i cortei. Sedici giorni dopo, assistiti dall’avvocato Antonella Di Maggio, sono ai domiciliari Francesca Cerreto, Gabriele Giovannetti e Simone Magnani, ha l’obbligo di firma una volta la settimana Sandro Capuani ed è libero Sandro Ciferni.
L’inchiesta è nata dopo il pestaggio di uno straniero che aveva rifiutato quelle regole ed era stato cacciato dall’ex scuola, subendo un’aggressione. Ora il clima di terrore si ricrea. «Circa 30 giorni fa – racconta Johnny – i "compagni" mi hanno sbattuto in faccia i verbali della mia testimonianza resa ai carabinieri in relazione all’aggressione subita dallo straniero. Ho detto loro che per me quella è e rimane un’ingiustizia. Trovo corretto contribuire ai lavori per la manutenzione dell’edificio, ma se una cosa la trovo ingiusta lo dico, non mi va di subire l volontrà altrui se non la condivido». Nell’«8 Marzo» oggi ci sono 44 persone, la maggior parte delle quali straniere. Una volta alla settimana si riuniscono per decidere i lavori da fare, chi sistema i vetri e chi falcia il giardino, per esempio. Ma da qualche settimana, all’ordine del giorno delle riunioni c’è anche il caso Johnny «l’infame».
«Sono in pochi a essere contro di me – dice – sobillati da quattro del coordinamento che sono comparsi dopo l’arresto degli altri. Hanno detto che devo andarmene, che non lo faccio un giorno lo faranno loro». Johnny non vuole cedere. Nella sua vita non lo ha mai fatto. A due anni è stato abbandonato dalla madre. Lo ha preso in cura un prete col quale è rimasto fino all’età di 8 anni, quando è stato affidato a una donna, la sua madre adottiva che sente ancora. Nella sua adolescenza Johnny ha conosciuto la droga: «In Ecuador ce n’è tanta», dice. Poi, per corteggiarla, ha seguito una ragazza nella chiesa degli evangelisti.
«Sembrava che il sacerdote parlasse a me – ricorda – mi sono messo a piangere come un bambino». Da qual giorno la sua vita è cambiata. ha studiato all’alberghiero e è partito per l’Italia. Ha sputo dell’ex scuola alla Magliana dai manifesti del centro sociale Macchia Rossa. Vi è andato ad abitare e l’11 ottobre 2007 ha fatto di più: si è sposato, preparando all’«8 Marzo» un banchetto per 150 persone. Ora per lui l’aria è cambiata.

Fabio Di Chio

04/12/2009

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